Durante i miei anni di formazione presso la Federazione Italiana Yoga ho imparato, anche se probabilmente non ne avevo bisogno, che per essere un bravo insegnante bisogna continuare ad essere un assiduo allievo. In quegli anni ancora potevo essere allieva di Olga e, quando tornavo a Roma dall’estero ove mi ero trasferita, non mancavo mai di andare ad abbeverarmi della sua saggezza nel suo studio all’Aventino.
Olga però durante uno dei periodi più bui del post guerra, quella che io chiamo la pandemenza, ha deciso di andare via da Roma; ora vive in Toscana. Così mi sono ritrovata orfana di maestri con la M maiuscola. Rimangono certo i miei maestri della Federazione Italiana Yoga, Eros, Antonietta, ma loro sono in Liguria…
Così dopo anni di assenza, ho deciso di provare a tornare ad essere anche allieva.
Dopo una avvilente ricerca sul web ove più che altro apparivano studi di fitness o palestre spacciati per centri Yoga, mi si illumina una lampadina che mi dice di cercare i lasciti di un famoso maestro contemporaneo, ma non più vivente su questo piano, i cui insegnamenti sono ben rappresentati in centro Italia.
Trovo un ‘Ashram’ con il suo nome e penso che questo possa costituire una garanzia. Prenoto due lezioni di prova.
Mi presento alla prima. Scendo in un sottoscala, la porta accostata lascia intravedere una tenda arancione. Mi accingo ad entrare chiedendo permesso, da dietro la tenda mi risponde una voce maschile, nulla di più. Pochi istanti dopo mi compare l’insegnante. Nel frattempo vengo assalita da un olezzo difficile da individuare. Sicuramente complice c’è anche l’aria viziata delle finestre chiuse.
Mi rendo conto di trovarmi in quello che, prima di quella destinazione era un garage. Pavimenti di cemento verniciati di verde stile officina. Un muro arancione, stile yoga indiano e tutti gli altri stancamente bianchi.
La porticciola del bagno sulla destra, due piloni al centro, luci tipo neon, due stufe accese, in un angolo un altare con oggetti e statuette Indu. Foto e poster di santoni e roba simile appiccicati un po’ a caso sulle pareti. Di lui, del grande Swami, quello che cercavo io, nessun segno. Mi fanno accomodare in quello che chiamano spogliatoio. Mi cambio ed esco nella ‘sala’. Chiedo all’insegnante dove fosse la sua postazione, in quella sala così poco intuitiva, mi metto alla sua destra e soprattutto vicino alla finestra sbarrata da una tenda, per alleggerire il senso di oppressione dato dall’aria terribile di quella sala e dello stile officina.
La lezione si svolge in un sostanziale anonimato di contenuti. Non capisco se l’insegnante non si renda conto di trovarsi di fronte a qualcuno che certo non è un utente qualsiasi o si impegni per farlo sembrare tale.
Vorrei evaporare ma rimango per imparare. Tutto è lezione. Anche una lezione non convenzionale di Yoga.
Ora conosco meglio me stessa ed il mondo che mi gira attorno e posso fare qualcosa di più per migliorare entrambi.
In ogni caso, grazie.